Prefazione
Valerio Massimo Manfredi
L’Umbria è il cuore d’Italia, fisicamente, ma anche sentimentalmente ed intellettualmente, sotto molti punti di vista.
Anche in occasione della ricorrenza dei 1700 anni dal regno di Costantino il Grande (306-337 d.C.), questa piccola regione può rappresentare un caso esemplare di approfondimento sulle vicende di un periodo segnato da scontri durissimi, da inquietudini profonde e sgomento che permea le pagine degli intellettuali dell’epoca e le attese dei grandi pensatori, sia pagani che cristiani. Un periodo che abitualmente si ritiene oscuro e “ferreo”, e che invece fu “aureo” per la sua grande vitalità.
L’Umbria era, in quel momento, periferica dal punto di vista delle élites dell’Impero romano, eppure la mostra Aurea Umbria, richiamando l’attenzione su un periodo, che va dall’anarchia militare del III secolo d.C. alla riconquista dell’Italia da parte di Giustiniano, rivela un momento cruciale di dialogo, di commistione e di sincretismo. In quell’epoca critica, dove non c’era riparo per nessuno, la vita quotidiana continuava a resistere tenacemente e la gente non si lasciava andare allo scoramento.
Aurea Umbria è un territorio in cui il benessere delle aristocrazie convive con le più modeste prospettive di esistenza di classi medie e humiliores; è un mondo, inoltre, costellato dai segni della presenza del potere imperiale: le tracce della polvere d’oro che lumeggiava le capigliature dei sovrani nelle loro apparizioni pubbliche sono ancora visibili nei ritratti e restano un simbolo tangibile della divina autorità degli imperatori tardoantichi.
Un documento epigrafico unico al mondo colloca la città di Spello (l’antica Hispellum) nel cuore della storia della romanità: la grande iscrizione detta “Rescritto di Spello” reca un testo in cui è evidente la dimensione di dialogo e di continuità che storicamente caratterizzò il rapporto fra Impero romano e Cristianesimo. Con la concessione ad Hispellum del titolo di Flavia Constans e del privilegio di diventare sede del consiglio degli Umbri, la città assurse ad un ruolo politico e rappresentativo della fedeltà dell’intera provincia alla famiglia imperiale in un momento storico di grande rilievo, quale la successione a Costantino il Grande nel 337 d.C.
La mostra si completa con itinerari tra musei, monumenti e siti archeologici che conservano oggetti e tracce della tarda antichità dell’Umbria. Un’occasione unica per conoscere il vasto patrimonio culturale di questa straordinaria regione attraverso percorsi ed itinerari tematici che coinvolgono trenta comuni dove il paesaggio, i tesori storici ed archeologici e le eccellenze del territorio sapranno raccontare la storia di ieri e le risorse di oggi.
L’Umbria, con i suoi borghi nascosti, rimane per la maggior parte degli Italiani e, in particolare per chi scrive questa nota me, una questione d’amore, un concentrato di sogni e meraviglie dove le memorie ancestrali affiorano ovunque. Il suono cupo e vibrante del suo stesso nome evoca una emozione e un fascino oltre misura.
L’Umbria è incredibilmente bella e la magia di questa terra, esaltata ulteriormente dalle memorie e dai documenti della fine di un’epoca grandiosa, si manifesta non con le tinte cupe dell’apocalisse ma con quelle di un dorato tramonto, con l’eco delle voci remote di un popolo fiero e coraggioso che mai si è arreso all’implacabile trascorrere dei secoli.
Premessa
Luigi Malnati
Tre iniziative, il convegno tenutosi a Perugia e a Spello dal 27 al 30 aprile 2011, la mostra allestita a Spello e aperta dal 28-29 luglio scorso e la realizzazione di questo cospicuo quaderno sull’Umbria tra il quarto e il sesto secolo - una regione dell’impero nell’era di Costantino - dopo le celebrazioni sui Flavi, aprono una fase centrale delle memorie costantiniane nel nuovo millennio, avviate in Italia a Ravenna (con il convegno organizzato da Antonio Carile e Giorgio Bonamente in data 5-7 aprile 2001: Costantino il Grande nell’età bizantina) e a Rimini (con l’incontro di apertura e con la mostra organizzata dal 13 marzo al 14 settembre 2005 a cura di Angela Donati e Giovanni Gentili, Costantino Il Grande: La civiltà antica al bivio tra occidente e oriente). Già sette anni or sono i curatori della mostra su Costantino nella città di Treviri (Trier), Alexander Demandt e Josef Engemann chiesero alla città di Spello il prestito del ‘Rescritto di Costantino’ un’epigrafe che costituisce un unicum nella storia della politica religiosa del primo imperatore cristiano. Sono iniziate infatti in Germania le celebrazioni del XVII centenario di Costantino il Grande, in anticipo rispetto all’anniversario del 306, data di inizio del regno con la sua incoronazione da parte dell'esercito, in Gallia e Britannia, col titolo di Augusto.
Si conclude con la vittoria di Costantino un periodo assai difficile per l’impero, dopo la crisi sopravvenuta con il ritiro di Diocleziano, il fallimento del sistema di governo basato sulla tetrarchia e le lotte tra i pretendenti al soglio imperiale.
Pur nei limiti prestabiliti, il taglio qui proposto è originale, non ripetitivo: ogni opinione acritica o cristallizzata viene discussa e approfondita. Ne deriva un ritratto della regione, di Costantino e dell'epoca a lui seguente, in parte nuovo. La ricerca si estende non solo a tutto il quarto secolo, con la dinastia di Costantino che si conclude con la morte di Giuliano l’Apostata nel 363. Ma si spinge sino al pontificato di Gregorio Magno e quindi oltre Giustiniano, orienta la curiosità del lettore in avanti verso Giustiniano II, Tiberio II, Maurizio Tiberio di Bisanzio, sin quasi ad affacciarsi al secolo settimo, lungo la sequenza degli imperatori bizantini, ad esclusione di Foca.
L’Umbria entra insomma con decisione nella revisione storiografica in atto sulla figura di Costantino a partire da una riflessione su una pagina significativa della propria storia. Nel corso di tre secoli dalla fine del III alla fine del VI d.C., seguendo la riorganizzazione istituzionale, economica e sociale avviata da Costantino, si registra una vitalità inconsueta, prima della fine dell'Impero. L’archeologia si propone di integrare con una documentazione materiale e la ricostruzione dei contesti di scavo quello che le fonti antiche e le cronache dell’epoca non dicono o lasciano solo intuire.
Si è delineata una narrazione della vita in Umbria durante questi secoli, esponendo materiali archeologici, che vanno dai ritratti alle dediche alle pietre miliari sino ai mosaici e agli arredi lussuosi, per tornare alle umili testimonianze del quotidiano. Che questa fase possa essere definita aurea si può discuterlo a lungo, ma vi sono indubbiamente numerosi motivi a sostegno di questa aggettivazione. Le dinamiche di potere interagiscono con un tumulto religioso allora particolarmente vivo. Vi sono cospicui segnali di convivenza, sincretismo, commistione. Si tratta di un dialogo documentato dalle immagini che ornano i sarcofagi, i corredi, i preziosi ed altri manufatti.
Il convegno, la mostra e questo volume si integrano con itinerari tra musei, monumenti e siti archeologici, che offrono testimonianze della tarda antichità umbra anche oltre i confini della regione odierna, come nel caso dell’orvietano e della vicina Bolsena, l’antica Volsinii presso la scomparsa Bisentium. Si è apprezzata anche l'attenzione alla comunicazione, assicurata tramite la consulenza di Valerio Massimo Manfredi, con la presentazione presso la stampa estera.
Questi risultati, di un convegno, di una mostra e di una pubblicazione su Costantino in Umbria, sono stati possibili grazie ad una sapiente attuazione del novellato titolo quinto della Costituzione, che prevede per la valorizzazione l’azione concorrente delle pubbliche amministrazioni e dei privati. In particolare in questa occasione oltre al Ministero, che ha promosso le iniziative, hanno concorso, tra organizzazione, studi e finanziamento, l’Università degli Studi di Perugia, la Regione Umbria, la Provincia di Perugia, il Comune di Spello, la Camera di Commercio di Perugia, l’A.n.c.i. Umbria, la Conferenza Episcopale dell’Umbria, la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, la Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, la Banca di Credito Cooperativo di Spello e Bettona.
L’impegno economico complessivo richiesto da questa triplice iniziativa è stato in termini assoluti estremamente contenuto, anche in rapporto ai risultati ottenuti e tuttavia proporzionalmente la quota sostenuta dal Ministero risulta molto rilevante. I dati che pervengono sulle presenze nelle numerose sedi collegate, trentatré oltre la mostra, dunque non solo a Spello, sono peraltro confortanti e rassicuranti. Il Ministero, che è stato il primo finanziatore e si è profuso in questa iniziativa andando anche oltre le generose previsioni iniziali, in sede centrale riconosce pertanto con soddisfazione il risultato di questo impegno ed esprime vivo apprezzamento, innanzi tutto per l'ampia cooperazione realizzata tra lo Stato, presente nei due dicasteri, dell’Università e dei beni culturali, e le altre istituzioni pubbliche e private, che si sono unite nell'impresa. Tanto più interessa, questo pieno successo, in un periodo critico e indubbiamente difficile, nel quale alla contrazione della spesa pubblica devono corrispondere risultati non di flessione, ma tali da favorire la ripresa. È una sfida non facile. Si tratta insomma - in questo caso - di un positivo esempio.
Si può aggiungere, in riferimento alle congiunture presenti, ancora un’altra ultima considerazione. In presenza di casi virtuosi come questo, di iniziative cioè che ripagano direttamente ed immediatamente degli sforzi sostenuti, pur nell’esprimere piena soddisfazione non si deve dimenticare che non è questo, del beneficio immediato, il fine della tutela, stabilita tra i principi fondamentali della Costituzione, sin dall’articolo 9, disciplinata dal Regolamento e dal Codice. Infatti le spese per la salvaguardia dei beni culturali, con quelle per la salute, per l’istruzione, per la ricerca, rappresentano le più concrete promesse per il futuro. Se in alcuni casi è possibile ripianarle immediatamente tanto meglio. Ma sappiamo che comunque le ricadute positive per il paese nel suo insieme anche a distanza di tempo sono di molte volte superiori a quanto può tornare alla amministrazione procedente in termini di incassi diretti. I musei insomma, come gli archivi, come le biblioteche, come l’insegnamento, come l’assistenza sanitaria, offrono la possibilità di un investimento, di una semina. I frutti torneranno moltiplicati e inestimabili, anche se ad altri. Non può essere questo, del mancato ritorno diretto e immediato, quantificabile, un ragionevole ostacolo a procedere. Perfino le questioni affrontate relativamente alla sede di questa mostra, a lungo rimasta in sospeso tra villa Fidelia - con la connessa rilevanza archeologica - e il palazzo comunale di Spello, impongono questo cenno ad una più generale riflessione sugli investimenti pubblici nel ramo dell’archeologia.
Editoriale
Fabrizio Bracco, Francesco Scoppola
Il titolo focalizzato su Costantino e sull’era che da lui prende il nome, scelto per la mostra organizzata a Spello con richiami e itinerari in tutta l’Umbria, è anche il titolo di questo volume, che ne offre un catalogo ragionato opportunamente incrementato da vari contributi scientifici di carattere generale. È costituito da un aggettivo e da un sostantivo. L’aggettivazione aurea, che non deve ingenerare confusione con i cosiddetti secoli d’oro dell’impero romano, può essere intesa in più di un significato: quasi come anticipazione cronologica, in riferimento al titolo di un’opera fondamentale di André Grabar (L’âge d’or de Justinien), come capacità di equilibrio tra lo spreco del lusso e la ricchezza essenziale e austera, quasi la povertà della sapienza (già allora da tempo riassunta nell’aurea mediocritas oraziana), come segno di permanenza e durata, di incorruttibilità, come ricerca di vera ricchezza stabile, cioè di cultura e di saggezza. Non da ultimo l’aggettivo può indicare il tentativo di contraddire l’immagine consueta di crisi e di impoverimento che viene - oltre il giusto - associata al periodo tardo antico e medievale.
Aurea Umbria certamente può essere dunque ricondotta al fatto, ampiamente documentato, che non si trattò di decadenza, come invece troppo spesso si è ripetuto; ma può richiamare allusivamente anche l’istituzione del solidus aureo, la moneta costantiniana, di cui, grazie al museo del Lussemburgo, non si esclude di poter esporre temporaneamente alcuni esemplari anche in Umbria. Peraltro in questo nome si avverte anche, evidente, un’eco degli studi - pubblicati come guida - e della mostra del 2001 titolati Aurea Roma: si scelse allora una fiera, un leone, nell’atto di ghermire e uccidere una celeste preda. Ed in effetti quella immagine sectile di commessi marmorei ben rendeva l’idea di Roma, l’idea della città capitale dell'impero che ghermiva senza scampo, lungo una stagione che si era aperta circa duecentocinquanta anni prima del Rescritto di Costantino con la costruzione della Domus Aurea di Nerone. Stagione caratterizzata, oltre che dalle persecuzioni contro i cristiani, da statue e imprese colossali.
Per Aurea Umbria si è scelto invece, come simbolo ideogrammatico, come logo, il piatto del tesoro di Canoscio che pur non essendo affatto d’oro, sbalzato in materia di mite ricchezza ma più tenace, meno tenera dell’oro e cioè in argento, ben rappresenta tuttavia il benessere determinato dall’aurea mediocritas alla quale già si è fatto cenno. Il piatto esprime varie idee: le nozze, la convivialità, la condivisione, l’incontro, l’ospitalità, il dono ciclico e perenne, il necessario quotidiano, l’alleanza che discende dalla spartizione del cibo e di ogni ricchezza. Piatto che perciò non è certo emblematico del momento del sacrificio predatorio, ma dell'agape fraterna, della mutua reciproca soddisfazione. È - in questo - il simbolo della differenza sottile tra la pace e la guerra.
Quindi le due mostre ‘auree’, su Roma la prima e questa sull’Umbria poi, pur nell’analogia del nome, sin dalla loro presentazione - come immagine - differiscono radicalmente, ma al tempo stesso risultano associate. Sono le due facce, la duplice natura, tragica e gioiosa, dell’offerta: la vittima e la preda, da un lato, per Roma, e la condivisione volontaria, l’alleanza posta su un piatto d’argento, dall’altro, per l’Umbria. Una regione che nella sua storia è stata soprattutto centro di distribuzione, piuttosto che centro di accumulo e che anche oggi si distingue - tra l’altro - per i prodotti pregiati che reca dalla terra alla tavola: non si poteva forse scegliere emblema migliore. Un piatto sul quale, sia pure in riferimento al lusso domestico o alla magnificenza del culto, si legge tuttavia pur sempre di Felicitas.
Il nome proprio dell’Umbria rimanda poi ad una entità geografica e fisica, oltre che culturale e sociale, i cui confini nell’arco di tempo considerato sono stati però più instabili e cangianti di quelli di una nuvola. Si potrebbe per altro verso a questo punto osservare che il titolo prescelto può avere significati talmente vari da incuriosire più e prima ancora di orientare. Ma in questo caso la scelta di prendere in considerazione la regione a partire dai confini dell’Umbria contemporanea, è stata integrata con quelle aree dell’Umbria antica percorse dalla Flaminia, fino a Fano, sul cui arco di Augusto campeggia una delle rare dediche sacre al divus Constantinus. Guardiamo dunque al sottotitolo che meglio spiega l'argomento trattato: una regione dell’impero nell’era di Costantino. E veniamo brevemente ai contenuti della mostra e di questa pubblicazione.
Non si vuole certo in questa occasione riproporre l’ennesima epitome della fonte anonima che si colloca tra i primi testi della letteratura copta di argomento letterario, storico o scientifico: il panegirico Elogio dell’imperatore Costantino, dello stesso ignoto autore della Storia di Cambise, lacunosa, su fogli di pergamena conservati nel museo di Berlino (inv. 9009) che ne recano una trascrizione avvenuta ad opera di un copista del secolo VI, parimenti anonimo.
Si è creduto di dover piuttosto evidenziare il carattere di tolleranza, di autentico interesse alla novità e al tempo stesso di attaccamento alla tradizione, soprattutto di superamento della logica di contrapposizione (pur nella assoluta evidenza tragica dei conflitti), che si riscontra in età costantiniana. Attitudine che va letta, così com’è, non come decadenza, ma come momento di progresso, dialogo e innovazione. Si tratta dunque di vedere il Costantino che ha riunito (non senza sangue) un impero diviso in quattro parti dalla tetrarchia e ha composto ed integrato la tradizione - alla quale non ha affatto rinunciato - con la novità del cristianesimo, peraltro già riconosciuto da Galerio, con l’editto del 30 aprile del 311, quale religio publica populi Romani.
In questa logica, per una breve illustrazione generale in premessa, che guardi oltre i mutevoli confini dell’Umbria, può convenire citare letteralmente nella loro sintesi alcuni passi - tra le pagine dedicate a Costantino - tratti dal disegno storico dell'arte italiana di Adolfo Venturi (Bologna 1924 pp. 5-8), il cui italiano ormai desueto dà in modo immediato il senso di una visione della tarda antichità dalla quale siamo ormai lontani e tuttavia già sottolinea - al contempo - la permanenza di motivi pagani, che restano a lungo compresenti con quelli della nuova religione.
«Nell’arco di Costantino, che inizia l’arte cristiana uscita dal tenebrore […delle catacombe...] si scorgono le nuove tendenze, che moveranno parallele a quelle di Bisanzio […] visioni di un mondo scomparso […]: le forme si schiacciano, dilagano sul fondo […]. Nei rilievi storici costantiniani, nonostante la solennità dell’opera sacra all'imperatore, l’arte non riesce ad attuar forme diverse da quelle dei rilievi scalpellati nei più comuni sarcofagi […]. Gli stessi accenti discordi risuonano nell'architettura, la stessa tendenza a disgregare la solidità delle antiche forme […]».
Passando poi al monumento di ingresso trionfale presso il Colosseo, così prosegue il Venturi. «Questo l’arco che segna l’omega dell’arte dell’Antichità, l’alfa dell’arte del Medioevo. […] Si divorò l’antica Roma per costruire la nuova; e invano gl’imperatori, col rigor delle leggi, perfino con la pena delle mani mozze ai trasgressori, vollero impedire il consumo degli antichi edifici […]. E come l’arco di Costantino sulla via Trionfale, salutato dal Milizia quale “Cornacchia d’Esopo”, le basiliche del Cristianesimo, i battisteri, i mausolei si costruirono a spese della città classica cadente»
«Era venuta in disuso l’arte architettonica dopo che, trasferita la sede imperiale a Costantinopoli, rimasti deserti tanti pubblici monumenti, era stata tolta al prefetto romano facoltà di costruirne di nuovi. […] Ancora il mausoleo detto di Santa Costanza, dove furono sepolte due figlie di Costantino imperatore, spira un'aura di paganesimo, dalla memoria, ora soltanto adombrata nei musaici della volta anulare, dei misteri di Bacco, ornamento consueto ai luoghi funebri. Sulla volta sono sparsi crateri, idrie e altri vasi sacri a Dioniso, volano uccelli sulle frutta mature, si stendon pergolati, passano coi carri, coi tini, gli agricoltori. La croce, il signum Christi, il monogramma costantiniano, che fu trovato poi frammentario sulle pareti, non s’intromette fra i simboli bacchici, come non s'intromise tra i girali e i putti vendemmiatori del sarcofago porfireo, già nel mausoleo, ora nel Museo vaticano». Accanto a queste pagine si possono richiamare alcune righe del Gregorovius:
«Quel papa Silvestro che si lasciò regalare dall’imperatore Costantino - quando, secondo la leggenda, lo battezzò nel palazzo Laterano - Roma e tutta l’Italia, anzi tutto l’Occidente (e per quanto tempo non si è creduto a questa ridicola donazione?), quel papa fortunato visse nelle solitudini del Soratte, finchè durò l’ultima persecuzione dei cristiani».
Le due citazioni valgono bene ad illustrare la prospettiva da cui si guardava, ancora agli inizi del secolo scorso, la cultura dell’età di Costantino, per un verso come fosse in attesa di riscatto ad opera del cristianesimo, per l’altro già consapevole di una maggiore complessità. Rispetto a questa prospettiva la mostra Aurea Umbria propone il frutto del rinnovamento degli studi sul ‘Tardoantico’, dei quali in Italia sono stati antesignani Arnaldo Momigliano, Santo Mazzarino e Lellia Cracco Ruggini, e che ha segnato una tappa significativa, proprio in Perugia, nel convegno internazionale Costantino prima e dopo Costantino, svoltosi a Perugia e Spello nei giorni 27-30 aprile 2011, la cui prolusione è stata tenuta da Andrea Giardina.
In essa si avanza una lettura - piana e non condizionata da pregiudizi - del clima fertile di compresenze proprio dell'età costantiniana, còlto già da tempo, perfino nelle sintesi a carattere divulgativo, e tuttavia rimasto in disparte. Così come in disparte rischiava di rimanere il ruolo dell’Umbria - e di Spello in particolare - rispetto ad una tanto straordinaria stagione storica. Per questo, e non solo per dotare una importante mostra di un suo catalogo, si è proceduto, d'intesa con l’Università di Perugia, alla pubblicazione di questo quaderno monografico che si inserisce nel quadro ormai vasto delle pubblicazioni del bollettino per i beni culturali dell’Umbria, realizzato e sostenuto dallo Stato e dalla Regione insieme, nel pieno rispetto del dettato del titolo quinto, novellato, della Costituzione, a proposito della valorizzazione concorrente dei beni culturali.
Basterà allora ricordare per sommi capi e a parte, richiamando precedenti studi, quanto altalenante ed incerto sia stato il transito dal mondo pagano a quello cristiano, per comprendere come la soluzione a tanti conflitti sia stata necessariamente ab origine ricercata nella composizione piuttosto che nella contrapposizione.
Certo una mostra, in Umbria, su Costantino, avrebbe potuto estendersi quasi senza limite a comprendere anche altri manufatti insigni, che non era però pensabile trasferire, tanto meno in questa occasione: ad esempio le due colonne che si trovavano nella corte di ingresso della basilica costantiniana di San Pietro a Roma, con i due busti poggianti su globi a sbalzo, colonne poi passate nella collezione Altemps ed oggi conservate al Louvre. Oppure la testa colossale del Campidoglio. O le vasche porfiretiche. Ma la finalità di Aurea Umbria è un’altra: una mostra dell’Umbria nell’era di Costantino. Al sensazionale, all’irripetibile, al magnifico, si è preferito l’autentico, il peculiare, il quotidiano, talvolta anche di modesta fattura. In una parola, i caratteri propri di una regione durante un periodo cruciale della storia dell’impero.
Pur facendo doverosamente perno su Spello, la mostra si caratterizza infatti per la dimensione territoriale, per la diffusa attenzione al patrimonio dei vari siti e della rete di musei presente nella maggior parte delle città umbre.
In relazione alla politica di Costantino è ben noto il declino della centralità di Roma e l’emergere di Costantinopoli, quasi come in un viaggio di ritorno rispetto al percorso del mito di Europa, cammino a ritroso che offre una sintetica icona della cultura di origine indoeuropea. Meno note sono le strade di questo viaggio che non avviene solo sul mare. Occorre considerare anche gli itinerari via terra (ed in particolare quelli di crinale, più impervi ma al riparo dalle insidie delle zone costiere) e con essi risulta immediata l’importanza dell’Umbria. L’importanza delle strade non viene sottovalutata ed è tale da essere tra i rari soggetti effigiati o richiamati nella moneta, associate ai profili degli imperatori ed ai trionfi: quando su una delle due facce del conio compaiono gli archi, frequentemente si legge: Quod viae munitae sunt.
Ma veniamo infine specificamente al contenuto del rescritto, in attesa che anch’esso compia i suoi mille e settecento anni, come è già accaduto per l’inizio del regno nel 2006 e per la vittoria al Ponte Milvio nel 312. Le celebrazioni costantiniane del XXI secolo sono iniziate infatti nel 2005 con la Mostra di Ravenna, dal titolo Costantino Il Grande: La civiltà antica al bivio tra occidente e oriente e con le due manifestazioni di Trier, il congresso su Konstantin der Grosse, tenutosi nei giorni 10-15 ottobre 2005 e la mostra: Imperator Caesar Flavius Constantinus. È stata quindi la volta di York nel 2006 (Convegno su Constantine and the Late Roman World, 17-20 luglio 2006) e di Monaco di Baviera.
Alle iniziative che prendevano come riferimento gli esordi del regno di Costantino, proclamato Augusto nel 306 d.C., sono seguite quelle destinate a rievocare gli anni della vittoria al Ponte Milvio e della svolta nella politica religiosa di Costantino, negli anni 311-313, tra l’editto di Galerio e quello di Milano, con l'interclusa vittoria al Ponte Milvio. In questo ambito, oltre al convegno a Perugia e Spello nel 2011 (Constantine before and after Constantine. Costantino prima e dopo Costantino. Convegno internazionale, Perugia-Spello, 27-30 aprile 2011) se ne è tenuto uno a Barcellona e Tarragona (Constantinus,¿el primer emperador cristiano? Religión y política en el siglo IV, Barcelona - Tarragona, 20-24 marzo 2012).
Dopo il convegno svoltosi a Roma - Città del Vaticano (Costantino il Grande: Alle radici dell’Europa, 18-21 aprile 2012), è seguito quello di Sofia: The Edict of Serdica (AD 311): Concepts and Realizations of the Idea of Religious Toleration, 27-28 Aprile 2012. Si è altresì tenuto un convegno al British Museum di Londra (AD 312 Constantine’s Victory at the Battle of the Milvian Bridge, 3 Novembre 2012), per non parlare che delle iniziative di maggiore risonanza. Il centro internazionale di Studi Micaelici e Garganici, con sede in Monte Sant’Angelo, ha proposto la XV Settimana di studi tardo antichi e romanobarbarici sul tema: La svolta di Costantino (17-20 settembre 2012). Il ciclo si dovrebbe concludere con le rievocazioni dell’editto di Milano, con un convegno previsto a Milano (L’editto di Milano, Milano 8-11 maggio 2013).
Di Costantino e della sua età non si voleva offrire e non si è offerto - lo si è detto - un ritratto, una immagine celebrativa, apologetica, stereotipa, agiografica. E nemmeno si voleva ancorarlo alla retorica di una scelta netta che non ha peraltro operato. Si è cercato piuttosto di comprendere e di proporre di Costantino l’immagine più aderente possibile alle fonti, a quanto sappiamo con maggior sicurezza di lui. Ne emerge non il personaggio monolitico e colossale che volta pagina tra le ere, come in ogni epoca ha voluto e vorrebbe una cultura sussidiaria e una ritrattistica “di regime”, ma il personaggio eclettico e versatilissimo che sfoglia le pagine della vita e del suo tempo senza preclusioni e senza dar peso eccessivo alle opinioni predeterminate, con autentica curiosità, con attitudine all’esplorazione del vero. Anche con una adattabilità sorprendente, che a tratti sfiora il cinismo. Questa chiave di lettura aiuta anche a comprendere non solo l’autore del Rescritto di Spello, ma soprattutto il periodo di quasi quattro secoli al centro dei quali egli è vissuto. Motivo di grande attrazione è la religiosità di Costantino. Non sappiamo come venisse coniugata con la religione cristiana la carica di pontefice massimo della religione pagana, carica che Costantino mantenne per tutta la vita, come pure i suoi successori cristiani, sino all’anno 379. Dal 315 sulla monetazione compare sull’elmo il monogramma cristiano, che però resta compresente con la corona solare radiata sino al 324, sostituita poi dal nimbo o aureola e dal 326 integrata dal diadema e dal labaro e unita al titolo di pubblica speranza: spes publica. Anche la narrazione del suo battesimo – a Nicomedia – in punto di morte, presenta luci ed ombre.
Le iniziative di studio e divulgazione, nella ricorrenza dei mille e settecento anni del regno di Costantino, hanno un punto di riferimento nel ‘Rescritto di Spello’, con cui i Flavi, e più precisamente il giovane Costante (che si assicurò il controllo dell’Italia con sede in Milano), concessero un indubbio primato alla città umbra, consacrato dal nome Flavia Constans, tratto dalla loro gens, ma si ripropongono, più in generale, un approfondimento aperto a tutto il territorio della odierna regione per l'età tardo romana. Approfondimento che può essere inteso (anche guardando a tempi più ravvicinati rispetto alla mostra romana di oltre dieci anni fa, già richiamata) quasi come una prosecuzione delle mostre sui Flavi promosse in varie regioni per il bimillenario della nascita di Vespasiano, aperte dalla mostra allestita al Colosseo e concluse solo due anni or sono proprio in Umbria, a Cascia e a Norcia (scelta motivata dalle origini materne di Vespasiano la cui madre, Vespasia Polla, stando alle notizie riportate da Svetonio, era originaria di Norcia), con le mostre allestite nel 2009 sotto la direzione scientifica di Filippo Coarelli, rispettivamente nel Museo di Palazzo Santi (curata da Francesca Diosono) e nel Museo della Castellina (curatori Maria Angela Turchetti, Liliana Costamagna e Simone Sisani).
Da ultimo questa nuova mostra non intende dunque offrire in tempi di crisi l’immagine storica di altre età di crisi e di radicale cambiamento. Quanto piuttosto - se fosse possibile - indicare la strada di una uscita dalla crisi, avviare un moto che non può originarsi nei centri ingolfati del potere, ma nel tessuto più diffuso e capillare della realtà sociale di ogni paese, in ogni epoca. Si parlava un tempo, denigrandoli senza ragione, degli interventi “a pioggia”, ripetuti costantemente nel tempo e distribuiti nello spazio ovunque, letteralmente disseminati e ingiustamente reputati uno spreco privo di risultato. Eppure non è dalle grandi concentrazioni di ricchezza che può venire la soluzione dei problemi odierni e globali: dagli accumuli, dagli eccessi, dalle indigestioni provengono se mai le tossine. Abbiamo piuttosto bisogno proprio di quelle diffusioni omogenee, in questa minacciosa aridità presente. Basta poco per evitare il deserto, per arginare la sterilità che si riverbera sui mercati come scarsa produttività, ma nasce altrove. Quasi come in un elogio della utilitas, intesa addirittura come subtilitas, si può dunque affermare che solo capillarmente e non nelle grandi quantità anche in natura possono di fatto avvenire quegli scambi sanguigni o linfatici, possono verificarsi quelle varietà di componenti che sono all’origine dell’ossigenazione e del nutrimento, come di ogni osmosi, di ogni processo filtrante, generando quelle molteplicità e quelle varietà, producendo quelle chiarificazioni che si oppongono miracolosamente all'entropia, nella logica inaspettata e sempre nuova, pur se perenne, del dono. Si tratta di processi quasi impercettibili, equilibrati, diffusi e disseminati ovunque, piccole cose che si traducono però in un salto essenziale: quello oltre i confini prestabiliti dei settori separati, quello infine che consente di passare dalla quantità alla qualità.
Presentazione
Sandro Vitali
La mostra Aurea Umbria, una regione dell’impero nell’era di Costantino trova la sua giusta collocazione nello storico Palazzo Comunale di Spello, da sempre sede della vita politica di Spello e custode del noto Rescritto di Costantino, rinvenuto presso Villa Fidelia nel 1733.
Aurea Umbria è una mostra archeologica che investe per continuità storica, politica e sociale un vasto territorio che ha il suo baricentro geografico e culturale nella città di Spello: già Splendidissima Colonia Iulia, divenuta poi Flavia Constans sotto Costantino, centro vitale del culto e delle celebrazioni sacre della vasta regione di mezzo della penisola italiana a partire dal IV secolo d.C.
La mostra costituisce un importante punto di riferimento per la conoscenza del patrimonio archeologico di Spello: i reperti esposti nelle prestigiose sale del Palazzo comunale rimandano al sito di Villa Fidelia, all’anfiteatro romano, alla recente scoperta della villa di Sant’Anna, con oltre 400 metri quadrati di mosaici policromi, fino alla restaurata porta Venere, a porta Consolare e all’impianto termale di via Baldini.
La lettura diacronica della città e del suo territorio non si ferma all’antico. Spello: l’intera città si apre alla Mostra, con lo splendido gioiello della Cappella Baglioni affrescata da Pintoricchio, con il centro storico di una delle più belle città umbre “a misura d’uomo”, con un’offerta culturale di eventi variegati: teatro, danza e musica.
Da Spello si dirama un itinerario articolato e suggestivo verso oltre trenta comuni distribuiti sull’intero territorio regionale, oltre a Bolsena e a Fano, con i loro siti e musei archeologici selezionati in relazione ai temi e ai contenuti della mostra per permettere un racconto esaustivo di un periodo – il tardo antico – così importante come quello che affronta la nostra esposizione.
La mostra Aurea Umbria sarà l’occasione per collaudare nuovamente un progetto per la città di Spello e per tutta la regione, ovvero la messa a sistema del patrimonio culturale e delle sue risorse; un modo di raccontare la storia antica dell’Umbria in stretta relazione con i temi storici e ambientali, una trasmissione di saperi e di conoscenze non distante dai territori e dalle persone.
Introduzione
Alessandra Bravi, Mario Pagano
Nella cultura antica ‘aureo’ è un aggettivo polisemico ed estremamente evocativo: esso può portare alla memoria il fasto dell’Oriente persiano o lo splendore delle potenti metropoli dell’impero, gli arredi delle corti dinastiche o le statue dorate degli dèi, che si elevavano nei più celebri santuari. Pertanto potrebbe sembrare inappropriato il suo uso per descrivere la cultura materiale e il mondo visuale dell’Umbria, una regione piuttosto silente nella storia dell’Impero tardoantico, nell’epoca di nevralgici cambiamenti e di fitto susseguirsi di rotture e instabilità istituzionali da un lato, di ‘crisi’ economiche di varia durata e profondità dall’altro, che sono i tipici tratti del periodo che va dal III al VI sec. d.C.
E potrebbe inoltre apparire maggiormente incongruo questo aggettivo se guardiamo gli oggetti che questa cultura ha prodotto con gli eruditi oculi dei seguaci di Winckelmann: con uno sguardo portato a cercare negli oggetti e nei monumenti un paradigma di ‘classicità’ ormai da tempo tramontato nello studio dell’arte romana. Dopo che L’industria artistica tardoromana di Alois Riegl fece la sua comparsa, possiamo vedere nel mondo delle immagini tardoantiche un modello estetico nuovo, ispirato da una pluralità di forme. Il mondo visuale di quest’epoca non produsse solo i mosaici elaborati in perfetto stile ellenistico delle domus di Antiochia, ma anche i corpi filiformi che popolavano i mosaici di una cappella a Hinton St. Mary; le sculture mimetiche di Shilataraga convivono in esso con il simbolismo astratto dei rilievi storici sull’Arco di Costantino.
La mostra Aurea Umbria presenta per la prima volta al pubblico il ricco patrimonio archeologico e documentario di una regione chiave dell’Italia tardoantica, l’Umbria, importante cerniera fra Roma e l’Adriatico, verso Ravenna, divenuta poi capitale con Onorio e sede dell’esarca con Giustiniano, e verso Aquileia, la porta orientale dell’Italia.
Questo insieme di sculture, mosaici, iscrizioni, prodotto nei secoli III -VI secolo d.C., illumina un tema che svolge nel mondo odierno un ruolo culturale e politico essenziale: quello della tolleranza religiosa e delle trasformazioni culturali, dei sincretismi e delle commistioni, nelle religioni e nelle pratiche sociali. Fu questa anche l’epoca in cui le dinamiche del potere s’intrecciarono con l’immaginario religioso, la diffusione delle credenze cristiane si manifestò visivamente accanto al persistere, al trasformarsi e al dissolversi di quelle politeiste. Lo studio sulle evidenze materiali e visuali dell’Umbria tardoantica conferma che nel campo delle pratiche di potere la politica di tolleranza rappresenta una tendenza forte che regola i rapporti tra imperatore ed élites.
Mentre il potere carismatico degli imperatori si rispecchia nei ritratti e il rango delle aristocrazie si rivela nella ricchezza delle decorazioni a mosaico e nelle argenterie, i modi in cui la religione e i culti cristiani vennero a sostituirsi alla tradizione e alla ritualità del politeismo parlano di dialogo tra pagani e cristiani, come risulta evidente nelle immagini poste sui sarcofagi, nei corredi delle sepolture, negli oggetti preziosi e nei diversi manufatti artistici, che accompagnavano le attività sociali e quotidiane, le feste e i rituali politici degli abitanti di città e campagne. Al centro, come oggetto-simbolo, il Rescritto di Spello, un documento che attesta il permanere, durante tutto il regno di Costantino, di un istituto politico e religioso “tradizionale” quale il culto dell’imperatore e della sua famiglia. Al fine di ridisegnare i contorni del sincretismo religioso dell’epoca, dell’evoluzione e dei cambiamenti che intervennero nel sistema religioso tradizionale, prima e dopo Costantino, i materiali archeologici testimoniano le trasformazioni o le persistenze delle pratiche della vita quotidiana, pubblica e privata degli abitanti di centri urbani e rurali.
L’occasione della mostra, nel 1700° anniversario costantiniano, ospitata nell’insigne e suggestivo Palazzo Comunale di Spello, permette di far rivivere lo splendore di un’aristocrazia senatoria ancora con forti legami sul territorio e ramificata attraverso le estese clientele, dotata di splendide ville e dimore elegantemente arredate, e di un’aristocrazia municipale che ad essa si riferisce e che gode ancora di grande benessere, soprattutto per i traffici che, attraverso il corso del Tevere e le vie consolari, contribuivano in modo rilevante all’approvvigionamento di Roma.
Questa società dell’Umbria tardoantica emerge con evidenza nei ritratti di cittadini eminenti, correctores, curatores e patroni, che popolavano spazi pubblici e privati delle città umbre, esercitando una attività di mediatori tra il potere centrale e le élites urbane, come dimostrano le statue di T. Flavius Isidorus, o di Iulius Eubulidas, mentre le iscrizioni dalle necropoli esprimono nuove gerarchie e poteri, come l’epigrafe funeraria del vescovo Homobonus di Terni.
I mosaici delle domus umbre di IV secolo possono rientrare a pieno titolo nel modello di ‚competitive consumption‘ che si adatta a spiegare il sumptus delle élites tardoantiche e i loro stili di vita, accomunando gli spazi di Antiochia, Costantinopoli, Treviri a quelli di Spello o di Gubbio. In epoca più tarda mosaici di diverso stile, ma ugualmente al passo con le tendenze aristocratiche, dimostrano una vitalità degli spazi pubblici di centri urbani come Perugia (Piazza Morlacchi ex-Officine Gelsomini) o Spoleto (Palazzo Mauri, Palazzo Pianciani) in secoli un tempo creduti di decadenza.
In questo quadro trova la sua ragione la tardiva penetrazione del cristianesimo e la straordinaria vitalità delle città dell’Umbria, ancora nel VI secolo d.C., come ben documentano le epigrafi, in primis il Rescritto di Spello, i ritratti, come quello marmoreo di Gubbio già identificato con Narsete, ma in cui si deve forse riconoscere un’immagine dell’imperatore Magnenzio (con la capigliatura sovrapposta in materiale diverso e prezioso, ora perduto), come fa pensare il confronto con le monete, e gli splendidi mosaici, molti dei quali di recente rinvenimento.
Diversi paradigmi e modelli si sono succeduti e alternati nell’interpretazione del mondo tardoantico. Dall’immagine di una società dominata dal conflitto tra pagani e cristiani si mette in luce oggi un transito meno traumatico: invece di chiaroscuri violenti e conflitti di ideologie, sembra che siano le realtà del dialogo, dello scambio, della coesistenza di pratiche diverse e apparentemente incompatibili a dominare la politica e la società di quest’epoca.
L’immaginario tardoantico in Umbria si conferma come uno spazio ideale di dialogo tra modelli culturali diversi. Un luogo mediano e di passaggio, come nel caso dell’elogio funebre di una giovane donna di Carsulae, su un sarcofago conservato a Spoleto, in cui il mito e la paideia classica giocano un ruolo dominante. Di Pontia sono celebrate le virtù femminili classiche:
…Quantus amor, mentis probitas quam grata marito,
quam casti mores, quantus et ipse pudor ….
Sul sarcofago le Muse, figure polisemiche che nel mondo pagano rappresentavano modelli culturali aristocratici e la distinzione sociale delle élites, si legano alla figura del Cristo “maestro” e “apocalittico” raffigurato nel clipeo centrale.
Tra gli indicatori più forti delle tendenze dell’immaginario spicca per eccezionalità e rarità un corredo di argenterie, poco noto alla comunità scientifica e al pubblico, ma che rappresenta un prezioso testimone della cristianizzazione e delle sue forme nelle pratiche di culto: lo straordinario tesoro di argenterie rinvenuto a Canoscio costituisce una delle attrattive principali della mostra. Ma si è cercato di documentare tutti i siti dell’Umbria, facendo emergere un quadro in gran parte nuovo ed inedito di una regione che aveva già espresso alcuni degli imperatori del III secolo d. C. (Treboniano Gallo e suo figlio Volusiano, originari di Perugia, nonché Tacito, originario di Terni). Importanti basiliche cristiane dedicate a S. Pietro vengono edificate fuori le mura a Perugia e Spoleto, lungo le strade di collegamento fra Roma e Ravenna, agli inizi del V secolo, e presso il foro di Otricoli, quando probabilmente si monumentalizza anche il polo martiriale di S. Valentino a Terni, ora oggetto di nuove indagini. Nel sarcofago della prima metà del IV secolo con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, ora al Museo Civico di Terni, si riconosce per la prima volta l’altare-reliquario del Santo, forse traslato dal luogo di seppellimento originario di Roma, come lasciano pensare tutte le teste scalpellate presumibilmente al momento della forzata applicazione dei primi decreti iconoclasti dell’imperatore bizantino Leone III. E ancora, si confrontano con il momento successivo alla riconquista definitiva di Giustiniano opere importanti come la chiesa rotonda di S. Angelo a Perugia, il tempietto del S. Salvatore delle fonti del Clitumno e il S. Salvatore di Spoleto.
Aurea Umbria si propone dunque di dimostrare il peso e l’importanza delle culture regionali accanto alle manifestazioni dominanti delle capitali e dei centri politici dell’Impero, certamente più documentate nelle fonti letterarie e storiche. Gli oggetti in mostra vogliono inoltre testimoniare il modo di essere di una società che vive in una dialettica tra stili di vita aristocratici basati sul sumptus, l’aurea mediocritas delle classi medie e la povertà dei ceti subalterni.
Le strutture culturali evidenziate da questi oggetti configurano il mondo di immagini di cui vive e si alimenta la società tardoantica. Possiamo dire con Peter Brown, che abbiamo forse trovato con questa mostra “tra le categorie pagano e cristiano, una terra di mezzo, uno spazio mediano, solido, che risplende di luce propria”, lo spazio della vita quotidiana degli anonimi abitanti di città e campagne.
La mostra e il presente catalogo hanno le loro radici nel confluire delle ricerche e dei dibattiti scientifici alimentati dai tardoantichisti dell’ Università degli Studi di Perugia con l’opera di studio, tutela e valorizzazione sia della Direzione regionale per i beni culturali, della Soprintendenza per i Beni archeologici, sia dell’assessorato ai Beni e Attività culturali della Regione Umbria. Il progetto di questa mostra ha potuto prendere corpo solo quando si è attuata la convergenza tra il Comune di Spello, la Conferenza Episcopale dell’Umbria e con Sistema Museo e altri enti e sponsor, che hanno voluto correre insieme l’alea di una mostra sulla tarda antichità. La collaborazione intensa e sistematica dei funzionari archeologi e dell’Assessorato alla cultura della Regione Umbria ha consentito altresì di rendere l’Umbria partecipe attiva ed autorevole nelle celebrazioni costantiniane. La volontà concorde di questi enti ha consentito inoltre di affiancare alla mostra l’offerta di itinerari in Musei, monumenti e siti archeologici che conservano oggetti e tracce della tarda antichità dell’Umbria, dando alla mostra una non usuale apertura verso il territorio, le scuole e un turismo culturale di qualità che si vorrebbe promuovere e veder crescere. E ciò per incoraggiare conoscenza e approfondimenti, per finalizzare l’evento ad un prolungato soggiorno in una regione che il mondo ci invidia e che continua, nonostante tutto, ad attrarre e sedurre, con l’offerta, come apparirà chiaro dalle lettura del Catalogo, di tanti nuovi interessi e di tante nuove scoperte.